NELL’ANNIVERSARIO DELL’ALLUVIONE DI FIRENZE
UN RICORDO
Riola Sardo - Mercoledì 04.11.2009.
Carbonia - Venerdì 04.11.1966. Quarantatre anni fa. Giornata scura: cielo coperto, ma non freddo. Mi pare di ricordare che, qui da noi in Sardegna, il tempo fosse un po’ ventoso. Avevo appena iniziato il quinto anno del Liceo Scientifico Statale di Carbonia, in provincia di Cagliari.
Andando a scuola, distante circa un chilometro da casa, ricordo che pensavo all’estate trascorsa a Bau Mela (amena località del Comune di Villanova Strisailis, in provincia di Nuoro), in un “campo scuola” organizzato dall’azione cattolica, di cui –ovviamente, allora- facevo parte).
In quella circostanza avevo conosciuto Salvatore S., futuro missionario nelle terre del Sud America, di circa 10 anni più grande di me.
Fra i pochi edifici che costituivano il “campo”, nella radura in mezzo al bosco di querce, non troppo distante da una piccola diga sul Flumendosa, Salvatore S., che fino ad allora non avevo mai conosciuto, aveva teso un filo metallico alto una decina di metri da terra e a questa parallelo. Tramite un altro filo metallico, disposto verticalmente, lo aveva collegato, formando nell’aria una sorta di T asimmetrica, ad una della prime radio a transistori che io avessi mai visto.
Era solo una radio ricevente di tipo commerciale, ma con molte bande di frequenza a disposizione (se ricordo bene almeno 4) in onde corte.
Ogni tanto l’accendeva e si sentivano delle strane voci uscire dall’altoparlante incorporato. Queste voci parlavano non solo in lingue strane e diverse, ma usavano delle strane sigle, che io proprio non arrivavo a comprendere.
Fu Salvatore S. il primo a spiegarmi, con pazienza e apparente noncuranza, il significato di sigle come: CQ, QTH, QRA, QSY, OM, SWL, CW, QSO, QTC e tante altre. Io stentavo a capire, ma quel mondo mi affascinava per le sue stranezze e il suo linguaggio “per iniziati”.
Quando sintonizzava la radio sui 14 MHz, si sentivano centomila voci straniere tra le quali alcune assolutamente non classificabili come lingue europee, in qualche modo quasi familiari. Lingue che sapevano di straniero, di estraneo, di lontano, di misterioso, di affascinante. Si capiva subito che quei segnali giungevano da lontano. Le voci, spesso flebili e appena percettibili, andavano e venivano seguendo un ritmo di evanescenze che assolutamente osservavano una regola casuale. Non mi spiegavo perché. Qualche tempo dopo avrei capito cos’è il “fading”.
Quando sintonizzava i 7 MHz, si sentivano soprattutto italiani e la cosa mi piaceva perché qualcosa riuscivo a capirla e potevo tentare di comprendere il significato dello svolgersi di quei dialoghi, di quelli che ormai anch’io, dopo qualche giorno, avevo imparato a chiamare QSO. Dopo qualche giorno riuscivo a capire anche il contenuto di un messaggio, che ormai, anche per me, era diventato un “QTC”.
Salvatore S. non era un radioamatore, ma un SWL, un ascoltatore delle “onde corte” e, provenendo da Serramanna, un paese con vicino un aeroporto militare, tramite suo padre (radiotecnico) era entrato in possesso di una formidabile stazione radio (materiale surplus della guerra) con la quale si poteva spaziare, con una selettività incredibile, sull’etere dell’intero pianeta. Ma questa sua radio l’avrei conosciuta solo tre o quattro anni dopo.
Io, in quel 4 Novembre 1966, ancora non avevo visitato di persona la sua stazione radio, ma sapevo che doveva essere piena di manopole, di comandi, di regolazioni e quindi doveva essere formidabile e sicuramente affascinante.
Arrivai a scuola con i soliti 2 – 3 minuti di anticipo. Avvenne il consueto incontro con i compagni: saluti, battute, scherzi, risate. Come sempre hanno fatto e come sempre faranno gli studenti di questo mondo.
Allora non esistevano i telefonini, non c’erano i PC. La comunicazione avveniva o per “parlato”, de visu, quando ci si incontrava di persona o per riferito da terzi. Altrimenti dovevi ricorrere alla lettera scritta, su carta, con la penna e affidare il tutto, previa affrancatura, alle Poste.
E -se tutto fosse andato bene- dopo una settimana potevi iniziare a sperare di ricevere la risposta.
Se proprio c’era un’urgenza di comunicare verbalmente con qualcuno distante, dovevi presentarti al posto telefonico pubblico e chiedere un appuntamento con la persona desiderata (di cui dovevi fornire il recapito esatto) per un orario che ti veniva comunicato e la cui approssimativa “precisione” raramente scendeva sotto l’una o le due ore.
Allora le persone parlavano. Meglio si parlavano. Molto più di oggi e i rapporti sociali erano forti. E questi erano importanti. Anche se c’era un vero dispendio di energie in file e attese.
Quel 4 Novembre 1966, non esistendo gli attuali moderni mezzi di comunicazione, solo dopo essere entrati in classe venimmo a sapere che non avremmo avuto lezioni, perché i Proff. Tizio e Caio sarebbero stati assenti.
Tra le diverse opzioni che mi si prospettarono, quel giorno optai per il rientro a casa, dove mi aspettava qualcosa che da qualche tempo stimolava il mio interesse.
A Carbonia, praticamente tutte le abitazioni hanno degli spaziosi cortili, cose da 300-500 m2. Nel mio, proprio la sera precedente, avevo steso una quindicina di metri di filo metallico a circa 9 metri dal suolo, tra il terrazzo del piano superiore ed un provvidenziale e alto albero di eucaliptus sistemato nell’angolo di nord-est.
Ma la cosa più importante era che, al rientro dal campo scuola di Bau Mela, Salvatore S. era stato tanto gentile da prestarmi la sua radio a transistori a quattro bande di onde corte. Io tra una cosa e l’altra, tra lo studio e i miei centomila interessi (anche allora), solo il giorno prima ero riuscito a sistemare quello “spezzone” di filo che fungeva da antenna ricevente.
E fu una vera emozione quel giorno. Quel giorno decisi che avrei conseguito la patente di radioamatore. Allora avevo solo 19 anni, ma mi ripromisi che -anche se all’età di 80 anni- l’avrei conseguita quella patente.
Rientrato a casa, salutai in modo approssimativo mia madre, e passai alla stanza del piano terra, diventata il mio cantuccio, il mio rifugio, la mia tana, la sede dei miei primi club!
Lì c’era la radio. Non ricordo più la marca e il modello, ma era di colore celeste / azzurro, con una grande manopola per la sintonia ed una minore per l’“aggiustamento”. Aveva una presa per le cuffie, un preselettore di banda, la manopola del volume e … una presa per l’antenna esterna! Una presa per il mio “spezzone” di fil di ferro a 9 metri da terra..
Accesi la radio. A quei tempi, tutti, eravamo un po’ abituati ad attendere il “riscaldamento” dell’apparecchiatura, prima di poter sentire qualcosa di intellegibile. Eravamo abituati alle valvole, quelle termoioniche. La parola dice già tutto: termo-ioniche. La temperatura del filamento delle valvole doveva raggiungere una certa soglia perché potesse avvenire la conduzione, perché la cascata degli elettroni emessi dal filamento arroventato, attraversando una o più griglie di controllo, arrivasse alla “placca” (anodo), rivelando il segnale radio. Tutti eravamo abituati ad attendere una decina di secondi, almeno.
Accesi la radio, che già da giorni era sintonizzata sui 7 MHz, perché li parlavano italiano!
Accesi la radio. Ma questa, a differenza della altre radio cui eravamo abituati, era una radio a transistori! Non c’erano filamenti da arroventare, griglie da attraversare e placche la bombardare.
La voce giunse forte e chiara immediatamente. Parlava in italiano. Dalla pronuncia avrei detto fosse un toscano.
Da qualche parte a Carbonia, nella casa dei miei genitori, nella casa dove son cresciuto, nella casa dove avvenne quell’ascolto, ci deve essere la trascrizione integrale di quanto ascoltai in quei minuti. Ora vado a memoria, sperando di non commettere troppe imprecisioni.
Rimasi attonito, colpito, quasi spaventato. La voce diceva:
“…di Firenze. Qui I1CLC, che chiama in banda 40 metri, La situazione è drammatica. L’Arno è straripato ed ha allagato Ponte Vecchio, Piazza Cavalleggeri, La Biblioteca Nazionale Centrale, il rione Santa Croce, Piazza Duomo …. Si chiede a tutti i radioamatori italiani in ascolto di mettersi a disposizione comunicando i propri nominativi e recapiti a … tramite…“
Erano circa le 09:30 del mattino. Di quel mattino 04.11.1966, Venerdì.
Avevo appreso in diretta, forse in anteprima per il Sulcis – Iglesiente, dell’avvenuta alluvione di Firenze.
Ascoltai. Ascoltai. Ascoltavo e trascrivevo. Comunicazioni drammatiche.Il traffico radio solitamente un po’ disordinato, quella mattina si era fatto ordinatissimo, preciso. Gli operatori, si sentiva, erano coinvolti emotivamente, ma si sforzavano di restare calmi e staccati trasmettendo i loro QTC (messaggi). Un radioamatore sardo, IS0…, non doveva essersi reso conto di quanto stava avvenendo a Firenze e da Cagliari, mi pare, sulla frequenza di 7,040 MHz trasmetteva in modo quasi ininterrotto in telegrafia e con segnale molto robusto, disturbando una buona fetta della banda. Solo dopo ripetuti interventi perentori di I5… comprese la situazione e smise di interferire con le comunicazioni di soccorso. Tra le tante ascoltate quella mattina e nei giorni successivi, ricordo perché in qualche modo coinvolgeva la Sardegna e per la sua stessa drammaticità, quella relativa alla Signora Anna B., di anni …, ricoverata nel reparto di traumatologia dell’Ospedale …. di Firenze, letto numero …, per trauma cranico. Si chiedeva di rintracciare alcuni suoi parenti in Sassari, per informarli delle condizioni della familiare. Ricordo che trascrissi il messaggio relativo al suo caso e lo consegnai ad un agente della Pubblica Sicurezza di Carbonia perché lo inoltrasse alle autorità competenti. Non ebbi mai il coraggio di informarmi se i familiari fossero stati rintracciati ed informati. Non ho mai avuto il coraggio di informarmi se la Sig.ra Anna B. se la sia cavata. Mi piace pensare di si e che i suoi cari l’abbiano potuta riabbracciare e abbiano potuto godere della sua compagnia ancora per molti anni. In quella circostanza appresi una lezione, per me fondamentale: la comunicazione deve essere tempestiva, rapida, concisa, efficace ed efficiente. Una comunità è tanto più evoluta, meglio, tanto più forte, tanto più resistente, quanto più la comunicazione, quella vera, è capillare ed immediata.
Ho fatto e faccio parte di diverse associazioni e organizzazioni e in tutte ho portato con me questa lezione. E in tutte ho cercato di trasmettere quella lezione. E quasi sempre ho fatto sorgere delle forti reti di comunicazione, di vario genere, al loro interno. Con molti vantaggi per tuttiPerché le notizie che io appresi quella mattina di quel lontano Venerdì 04.11.1966, le ritrovai nei giornali del giorno dopo. Molto dopo. Solo il giorno dopo. E neanche tutte. Molte storie non c’erano.
Mario S. G. Di Stefano
(Lelle)
IW0UQC
(Lelle)
IW0UQC